Le recodite lave: tra paesaggio e linguaggio

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Le recodite lave: tra paesaggio e linguaggio

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Title: Le recodite lave: tra paesaggio e linguaggio
Author: Literatura Italiana Traduzida; Peterle, Patricia
Abstract: I suoni e gli odori, segni del terrore, si instaurano nel paesaggio (le fornaci, i prati calpestati, la neve insanguinata), anzi nei molteplici elementi che lo delineano e lo compongono, come si vedrà poi anche nel corso del laboratorio poetico zanzottiano. Un trauma che non si attenuerà mai come si leggerà poi nel saggio del 1963, Premesse all’abitazione, in cui l’esperienza percettiva e sensitiva di quei momenti non può che colpire e segnare il corpo stesso di colui che l’ha vissuta. La realtà anacronisticamente si presenta come delle schegge che pungono il presente. E così il primo lotto comprato per la costruzione della futura casa, che dava verso quegli stessi campi che avevano assorbito il sangue dell’amico Gino[4], veniva d’un tratto scartato, perché, come dice appunto Zanzotto, “Avrei dunque scorto, tra il mio lotto e le ombre secentesche dello sfondo, il vano immenso di quei campi ormai per sempre senza rifugio”. Come costruire una casa, che è comunque un luogo di protezione in un posto segnato dalla distruzione? Infatti, continua il poeta, “Là non avrei potuto costruire, capii che dovevo cambiare e quella sera tornai a casa come respinto da una brutta onda al punto di partenza”.[5] Diversamente da Gino, Zanzotto trova riparo sopra la sua Cal Santa: “la Cal Santa ci aveva protetti, le grandi foglie taglienti che amo da sempre mi avevano tolto alla mira diretta della morte e fatto un grembo in cui la fortuna sinistra era stata paralizzata”.[6] [7] Due termini in questa citazione diventano fondamentali: “grembo” e “paralizzata”, cioè la terra e, di conseguenza, la vegetazione si trasformano in un “grembo” protettivo, “paralizzando” l’incontro definitivo, quello con la morte. Le ferite storiche, dunque, si iscrivono qui in un paesaggio che è tutt’altro che passivo, anzi, data la sua valenza anacronistica, esso “ci guarda”, per ricordare un titolo di Georges Didi-Huberman[8], e “comunica”. Comunque sia, “la casa bisogna farla”, bisogna incominciarla pur avendo le ustioni e sapendo che ci saranno altre stazioni.
URI: https://repositorio.ufsc.br/handle/123456789/240144
Date: 2022-06-24


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